Quel che resta di FICO

A me Oscar Farinetti è sempre piaciuto. E’ un carismatico e un visionario, un pifferaio magico che ho visto all’azione e davanti al quale non posso che dire: “Chapeau”.

Sì, lo so che a detta di molti è anche un gran furbacchione, ma io non entro nel merito rispetto a questa affermazione: di lui non mi risulta sia nemmeno mai stato indagato, quindi, ad oggi, per me è pulito. Ed è un uomo di marketing: tendenzialmente chi si vende bene non è mai troppo amato, ma d’altra parte l’Italia è ingessata dall’invidia, quindi…

La prima volta a Fico

Ricordo quando parecchi anni fa sono andata per la prima volta a Eataly Torino e mi sono resa conto che effettivamente, Farinetti ci aveva visto lungo. Poi si è inventato Fico a Bologna. Quando ci sono andata la prima volta, mi ero iscritta ad corso di Marketing che si teneva proprio nell’auditorium di Fico: ho girato la struttura  in lungo e in largo e quando sono rientrata a casa, ho deciso di tornarci con la famiglia.

Ho pensato che a mio figlio, curioso com’è, sicuramente sarebbe piaciuto moltissimo vedere come nascevano i prodotti e così è stato: con i suoi allora 5 anni scarsi, è rimasto appiccicato a tutte le vetrine delle fabbriche per vedere come nascono i confetti, come lavorano i robot che impastano e sporzionano e infornano l’impasto del pandoro, come si fanno le caramelle alla liquirizia o i cioccolatini….

Fico è appassito

Qualche giorno fa, per spezzare il viaggio di rientro dal mare, abbiamo deciso di fermarci ancora, soprattutto dopo che avevo sentito che Fico navigava in pessime acque  e che probabilmente chiuderà a breve e sono rimasta basita.

Pochissima gente, i negozi e la ristorazione quasi tutti  senza personale di assistenza (quando non delimitati da fettucce perché già chiusi), laboratori fermi,…. una totale desolazione.

Me ne stavo andando incredula quando ho deciso di vedere com’era questo nuovissimo “Luna Farm“, il parco a tema contadino. Devo ammettere che questa è stata forse la più grande delusione: una caduta di stile alla quale non riesco a trovare una giustificazione. Un’esplosione di luci, plastica e colori che con la cultura contadina e con la tradizione non ha nulla a che fare… un’arlecchinata della peggior specie.

Cosa è successo a Fico?

Mentre guardavo mio figlio sulle giostre, mi chiedevo come sia stato possibile arrivare a questo punto. Mio marito ha azzardato un: “Ma non lo hanno comunicato, non si sapeva nemmeno che ci fosse… e poi il Covid avrà dato il colpo di grazia”, ma io non credo che i problemi siano questi.

La triste realtà è che Farinetti ha sopravvalutato l’italiano medio: FICO è una cattedrale nel deserto e per salvare il suo gioiellino, Farinetti lo ha reso incoerente e, soprattutto, ha dato al cliente la mediocrità che tanto ama.

Già. Perché se Farinetti ha scelto di costruire un progetto simile a Bologna, ha puntato ad una zona baricentrica, facilmente raggiungibile da gran parte dell’Italia anche con i mezzi pubblici. Ma dagli italiani, ovviamente, perché se avesse voluto i turisti, avrebbe scelto Napoli, Roma, Venezia o Firenze.

E quanti sono gli italiani disposti a fare chilometri semplicemente per andare in un supermercato di lusso, quando possono acquistare gli stessi prodotti tranquillamente online? Pochissimi, ecco perché erano giustificati i laboratori e la possibilità di vedere i processi produttivi….  ecco perché credo che Farinetti ci abbia sopravvalutato.

Quando la pezza è peggio dello strappo

Siamo un popolo di mediocri: preferiamo guardare Com’è fatto in TV, piuttosto che vederlo dal vivo.

Farinetti ci ha impiegato un po’, ma poi lo ha capito e allora che ha fatto? Ci ha messo una pezza. Ha pensato che se porti i bambini, acchiappi anche i genitori e così ha costruito un Luna Park. Lo ha chiamato Luna Farm, perché è un parco gioco contadino. L’idea era buona, anzi ottima. Ma se l’obiettivo era quello di rianimare un malato in ventilazione assistita, forse avrebbe dovuto pensare che di parchi a tema ce ne sono ovunque, anche alle sagre di paese. E poi magari avrebbe dovuto evitare di metterlo all’ingresso: se lo avesse posto alla fine di un percorso obbligato, avrebbe costretto tutti a visitare Fico, magari rimanendo affascinati proprio perché costretti dai bambini a vedere le fabbriche e i processi produttivi: se così avesse fatto, forse sarebbe stato chiaro che per un bambino non c’è cosa più bella che fare giochi d’imitazione.

Il Luna Farm che mi aspettavo era un piccolo paese contadino. Ci vuoi mettere il trenino? Fallo, ma in ferro, non in plastica e anche se non lo fai a vapore, fai uscire del fumo dalla locomotiva! Dai ai bimbi i trattorini (tanto già li hai!) e lascia che giochino nella terra. Metti a loro disposizione un contadino vero, che insegni a mungere, a prendersi cura della frutta e della verdura, a raccogliere quella di stagione. Lascia che i bimbi si vestano da contadini, che zappino (ovviamente in sicurezza) e che scavino, che facciano il loro orto, che si mettano il cappello di paglia, che costruiscano uno spaventapasseri, che aiutino la contadina a tagliare le mele per la torta, che vedano come si macinano la farina e le olive, che facciano il pane, che peschino in un lago artificiale, che facciano la loro macedonia scegliendo la frutta che vogliono, che spremano una rapa rossa e ne ricavino colore con cui fare degli stampini con le patate….

Farinetti probabilmente mi risponderebbe che il mio progetto è più complesso da gestire rispetto al suo Luna Farm, che servirebbe più personale di sorveglianza, un numero limitato di ingressi ed un maggiore controllo (e magari che l’azienda che ha sponsorizzato e credo gestisca il Luna Farm vende giostre!), ma io gli risponderei:

Lo so che è più facile stordire i bambini con luci e giostre, ma questo, caro Oscar Farinetti, non te lo perdono, anche perché non mi risulta che tu sia uno a cui piacciono le cose semplici…

Il Luna Farm: un’occasione sprecata

Il Luna Farm poteva essere davvero qualcosa di diverso. Poteva insegnare ai bambini a sporcarsi le mani con la terra, poteva stimolare la loro creatività, poteva farli innamorare di una vita più semplice, poteva davvero contribuire a riavvicinare gli italiani ad un approccio più genuino alla vita. Io me lo immagino il cartello che invitava i bimbi ad indossare abiti che si possono sporcare, stivali da pioggia per saltare nelle pozzanghere…. Vedere uscire i bimbi con i baffi di cioccolato e le unghiette impiastricciate di terra, poteva rendere i genitori più consapevoli e i figli più creativi, meno prevedibili, più veri. E magari quelli, da adulti un progetto come Fico lo avrebbero saputo apprezzare.

Invece è stata l’ennesima occasione persa, la dimostrazione che non c’è futuro se invece che investire sui più piccoli, ci ostiniamo a trattarli da imbecilli.

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