Negli ultimi giorni ho un tarlo che mi gira in testa:
la buona volontà non basta.
Quante volte mi capita di entrare in realtà anche strutturate e trovarmi a parlare con referenti che non sanno nemmeno da che parte iniziare a svolgere il loro lavoro? Tante, tantissime, troppe e sempre di più nell’ultimo periodo. Sono persone dotate di buona volontà: si impegnano, inviano mail a qualunque orario, lavorano incessantemente anche nel weekend, mettendo a repentaglio matrimoni e sanità mentale, in nome del loro amor proprio e di un ruolo di cui sono stati investiti da un superiore che non vogliono e non possono deludere.
Perché ricevono gli incarichi? Proprio perché sono persone “di buona volontà”. Forse anche chi glieli assegna è ampiamente consapevole dei loro limiti e si illude che, proprio in virtù dell’impegno che mettono in ciò che fanno, possano supplire alla competenza che non hanno. Oppure, più semplicemente, assegnare ruoli a persone con queste caratteristiche è un modo per pulirsi la coscienza, facendo credere agli altri che si delega, mentre in realtà, si controlla ancora di più.
Già, perché le persone competenti sono scomode. Ti dicono loro la strada da seguire, non accettano imposizioni che non condividono e soprattutto, sono consapevoli del proprio valore, quindi se non le lasci lavorare, ti mollano. Invece a quelli di buona volontà puoi chiedere il mondo e te lo danno, a costo di caderci sotto.
Poi che non ottengano risultati, evidentemente è irrilevante, o addirittura comodo. Perché possono essere facilmente incolpati e, d’altra parte, con quale coraggio potrebbero lamentarsi, dal momento che loro per primi sono consapevoli dei propri limiti?
Come disse Primo Levi:
La competenza non ha surrogati. La buona volontà, il coraggio, lo spirito di sacrificio, l’ingegno estemporaneo non servono a molto, anzi, in mancanza di competenza possono essere nocivi.
In fondo è quello che accade anche in politica: la competenza è stata sostituita dalla buona volontà.
Cosa ci dobbiamo aspettare dal futuro?
Per anni ho pensato dei giovanissimi (o di una bella fetta di loro) che non hanno voglia di fare molto, sono preparati in teoria, ma poi non sanno da che parte prendere per affrontare la realtà. Lo dicevo sulla base dell’esperienza fatta in quello che era il mio osservatorio privilegiato, da datore di lavoro. Arrivavano con la loro competenza sulla carta, ma poi, come amo dire io, non sapevano “giocare con le briscole che avevano in mano”.
Negli ultimi anni, devo dire che ho osservato una certa inversione di tendenza. Mi è capitato di lavorare con ragazzi molto preparati, magari non ancora competenti ma almeno dotati di ottime basi, che con un po’ di lavoro sul campo unito all’impegno potranno fare grandi cose. E guardandoli, ho capito che sì: c’è speranza.
La buona volontà nasce dall’entusiasmo e quello, lo sappiamo tutti, può essere contagioso, ma lo stesso non vale per la competenza. Quella o ce l’hai, o te la fai. E non basta che ti diano fiducia e un obiettivo per ottenerla. E’ un mix fra teoria e pratica, intuizione e capacità di realizzazione ed è molto più complessa e lenta da costruire, rispetto alla buona volontà.
Quindi, fra buona volontà e competenza, scelgo la seconda. Nella consapevolezza che la prima serve allo stesso modo, ma è come una miccia, l’accendi e il gioco è fatto.
Interessante riflessione Cristina, anche a me piace rispondere: entrambe, grazie! Condivido con te che la competenza si debba costruire nel tempo con impegno e passione, e per questo serve la buona volontà. E se riuscissimo ad immaginare un mondo fatto di professioni e professionisti che agiscono in modo motivato, spinti da entusiasmo e passione, soddisfatti e che si sentano riconosciuti per il loro valore? Immaginiamolo e realizziamolo, si può fare.
Grazie della tua riflessione, Maurizia. E concordo con te: si può fare. Servono idee e capacità di realizzarle.